Si parla poco di TTIP (Transatlantic Trade and Investment Partnership, ovvero Trattato Transatlantico di Liberalizzazione Commerciale), un accordo che gli Stati Uniti chiedono all’Europa di firmare su temi di mercato e libero scambio, che abbatterebbe la barriere tra le due sponde dell’Atlantico, favorendo la libera circolazione di merci, servizi e investimenti. Sembra un progetto davvero innovativo e positivo, ma potrebbe nascondere insidie di natura sociale e ambientale.
La prima cosa su cui riflettere è come la controparte americana spinga per mantenere le trattative quasi “segrete” persino per gli Stati membri dell’Unione, dal momento che le proposte del trattato sono visionabili solo in sale lettura preparata dalle ambasciate USA e non si possono né prendere appunti, né fare una copia dei testi. Per quanto riguarda l’Europa, invece, sono stati resi pubblici interi stralci delle trattative.
Greenpeace Olanda è riuscita a ottenere circa 240 pagine che offrono uno spaccato di come stanno procedendo le trattative, quali sono i punti controversi e a diffondere i documenti tramite i quotidiani Le Monde, El Pais, Sueddeutsche Zeitung, Akanews e Eunews.
Le tematiche ancora oggetto di discussione sono principalmente legate ai prodotti immessi sul mercato, soprattutto il comparto agroalimentare ma non solo. Secondo i dati diffusi da Greenpeace, gli Stati Uniti stanno premendo affinché si raggiunga un accordo su questo settore minacciando ritorsioni sul mercato delle auto europee importate. Vediamo i dettagli.
Vino: gli Stati Uniti vogliono poter utilizzare la denominazione “semi-generica” per i loro prodotti, mentre l’Europa vuole proteggere i prodotti comunitari. Le denominazioni “semi-generiche” nel mirino sono 17, tra cui le italiane Chianti e Marsala. Se il trattato venisse approvato così com’è oggi, un produttore di vino americano potrebbe etichettare il proprio prodotto “Chianti” o “Marsala”.
Comparto agroalimentare: la carne negli Stati Uniti può essere trattata con ormoni, pratica invece vietata in Europa, gli ortaggi sono trattati con pesticidi non ammessi dalla normativa europea, e infine gli OGM, sempre permessi negli Stati Uniti ma fortemente regolamentati in Europa.
Cosmetici: i filtri UV di alcuni prodotti devono essere testati sugli animali per l’individuazione di sostanze cancerogene. Una pratica che si scontra apertamente con la normativa europea.
Standard tecnici: gli USA pretendono un adeguamento europeo agli standard tecnici ci sicurezza di accendini o impianti elettrici. In base al trattato si prevede che i tecnici americano siano coinvolti nel processo di standardizzazione, senza permettere alla controparte europea di comportarsi allo stesso modo.
Appalti pubblici: viene avanzata una regolamentazione valida per gli Stati europei, senza commenti su come si comporteranno gli USA in merito.
Servizi finanziari: Usa e UE rimangono arroccati sulle rispettive posizioni, con gli Stati Uniti che spingono per l’adesione senza messa in discussione dei punti, mentre l’Europa si apre ad un offerta di acceso reciproco ai servizi finanziari, subordinato a cooperazione sulle regole.
Farmaci meno affidabili: così come in altri campi, mentre in Europa si procede con una valutazione dei rischi prima e un’immissione sul mercato poi, in base al principio di precauzione, negli Stato Uniti si procede al contrario, dando la possibilità ai consumatori di partecipare alle class actions (ricorsi collettivi) nel momento in cui insorgessero effetti collaterali o danni alla salute.
Infine, questo trattato punta alla privatizzazione di molti settori, per cui alcuni aspetti del welfare, come acqua, elettricità, sanità, educazione, potrebbero sparire, essere acquisiti da imprese e diventare privati.
Riduzione del potere sovrano dei singoli Stati.
Uno dei punti che più frena il consenso da parte dei Paesi europei, è la clausola ISDS, che sta per Investor-State Dispute Settlement, ovvero il metodo per risolvere le controversie tra investitori e Stati rivolgendosi a una struttura sovranazionale, un tribunale istituito ad hoc. Clausole di questo tipo sono sempre presenti in trattati di libero scambio e d’investimento, perché nessuna impresa vorrebbe investire in un clima discriminatorio. La cosa che preoccupa è che le imprese potranno impugnare questa clausola e fare causa agli Stati che interferiscono con la loro attività. Esempi di cause imprese-Stato sono per esempio il contenzioso del 2011 Philip Morris e Australia: l’impresa intentò una causa contro il governo Australiano per aver varato politiche contro il fumo. È facile capire come questa clausola sia una potente arma per interferire con le politiche interne di uno Stato, anche quando queste mirano alla protezione della salute dei propri cittadini.
Per quanto riguarda il TTIP, alla luce di questa clausola i rischi collegati al settore agroalimentare sono reali, in quanto nessuno Stato membro avrà più la possibilità di intervenire con leggi a tutela, pena la citazione presso il tribunale straordinario.
Ma non sono limitati alla salute, pensiamo per esempio a politiche ambientali, o in materia di diritto del lavoro: gli Stati Uniti non hanno mai ratificato alcune convenzioni ILO e ONU in materia di diritti del lavoro, umani e ambiente, dunque anche aziende con comportamenti poco etici possono impugnare la clausola ISDS e avere piena libertà; è infine prevedibile che si verificherà un outsourcing mirato verso zone con costi sociali più bassi.
Il trattato inoltre prevede l’introduzione di un organo chiamato Regulatory Cooperation Council, o RCC, che valuterebbe l’impatto commerciale di ogni marchio, valutando il rapporto costi/benefici e andando quindi anche a dettare legge in campo di contratti di lavoro e standard di sicurezza a tutti i livelli. Il rischio, avverte Greenpeace, è che ci sia un’armonizzazione di regole tra le due sponde dell’Atlantico, ma che sia operata al ribasso, se non volta al totale smantellamento di standard di salute, protezione ambientale e lavoro in Europa.
Qualche beneficio? Ni.
Il PIL di Europa e America insieme è pari al 46% circa del PIL mondiale che con il libero scambio promosso da questo trattato potrebbe crescere da uno 0.5% a un 1% entro il 2018. È anche vero che una maggiore concorrenza stimolerebbe innovazione e miglioramento tecnico. Purtroppo per lo stato del trattato così come si presenta ora, la strada è spianata per le grandi multinazionali che hanno i mezzi e l’influenza per impugnare la clausola ISDS contro i Paesi europei. In una realtà come quella italiana fatta di PMI, spesso a conduzione familiare, il trattato potrebbe soffocare del tutto l’imprenditoria di questo tipo che difficilmente riuscirebbe a reggere il colpo e la concorrenza spietata e totalmente deregolamentata.
A.T. per Kreos Srl