Era l’anno scorso quando l’artista-attivista cinese Wang Renzheng si aggirava per la Cina armato di un aspirapolvere industriale con la parte aspirante rivolta al cielo. La sua era una provocazione per mostrare in maniera “solida” cosa ci fosse nell’aria cinese. E il risultato fu una serie di solidi mattoncini di polveri sottili che lui aveva sottratto dai cieli di Pechino.
Quella di Wang Renzheng era una provocazione per far crescere la consapevolezza sul problema della qualità dell’aria in Cina e i suoi sforzi sono culminati esponendo i mattoncini fatti di polveri sottili. Quello a cui stanno lavorando invece islandesi da una parte e cinesi dall’altra è un modo più utile di reimpiegare la CO2 che permea l’aria.
In Islanda
Nella piccola isola è stato lanciato un progetto chiamato Carbfix. L’idea di partenza è che la tecnologia usata ora, ovvero quella di stoccare grandi quantità di CO2 sotto terra in giacimenti esauriti di petrolio o gas, ha delle grosse falle: l’anidride carbonica là sotto rimane in forma gassosa, può uscire da un momento all’altro e non c’è davvero molto che uno possa fare una volta che la CO2, beh… sia volata via. Il team di scienziati islandesi allora ha pensato di puntare sulla mineralizzazione del gas: la CO2 viene iniettata in un bacino di basalto e lì rimane intrappolata finché non si trasforma in roccia. La procedura, che si pensava arrivasse a impiegare secoli, si risolve invece in soli due anni, inoltre va anche detto che il basalto è la roccia più comune sul pianeta, e quindi l’intero processo potrebbe essere replicato in molte altre zone. L’unico problema è che ci vuole davvero tanta acqua per far funzionare il sistema, con una proporzione di circa 4:1 con l’anidride carbonica. La buona notizia è che si può anche usare acqua marina, per cui operare in laboratori vicino al mare non sarebbe una cattiva idea.
Finora il progetto Carbfix è riuscito a trasformare 10 mila tonnellate di anidride carbonica, intrappolandola a 400-800 metri nel sottosuolo per circa 2 anni.
In Cina
Diverso invece l’approccio degli scienziati cinesi. La loro soluzione è riprendere un progetto addirittura del XIX secolo, che prevede di trasformare la CO2 in un carburante a basso impatto ambientale, usando l’energia elettrica. Era stato accantonato per via del dispendio energetico che comporta, e che non rendeva efficiente, né fruttuoso l’intero processo.
Il team di scienziati ha creato un composto formato da cobalto puro e cobalto mischiato a ossido di cobalto. Quando la corrente attraversa gli strati, le molecole del materiale e le molecole di CO2 che lo attraversano interagiscono. Gli atomi di CO2 si trasformano in CHOO-, ovvero il composto che può costituire il nuovo carburante. L’efficienza di tale processo è calcolato dalla sovratensione, ovvero la quantità di energia elettrica dispersa a causa della lentezza delle reazioni elettrochimiche. Più basso il valore, più, ovviamente, il processo è giudicato efficiente. Per ora il valore raggiunto dagli esperimenti è 0,24, anche se le ricerche continuano per raggiungere un valore ancora più basso.
A.T. per Kreos srl