Il prossimo 23 giugno a Londra si voterà per l’uscita o la permanenza della Gran Bretagna nell’Unione Europea. Si parla dunque di Brexit per indicare il fenomeno di questi ultimi mesi per cui Londra sta valutando se rimanere o meno alle dipendenze di Bruxelles. I dati dei primi sondaggi ci rivelano un Paese spaccato in due su questo possibile addio all’Europa.
Cosa vogliono quelli favorevoli alla Brexit.
I sostenitori della Brexit credono che la crescita e l’economia della Gran Bretagna sia in gran parte frenata dall’Unione Europea, che impone norme e regole sul commercio, offre pochi vantaggi a fronte delle tasse imposte, ma soprattutto, uscendo dall’Unione, la Gran Bretagna potrebbe avere pieno controllo dei propri confini e regolare il flusso di migranti sia dai Paesi europei che extra europei. Insomma, chi è a favore della Brexit vede l’uscita dall’Unione come un’occasione per la completa indipendenza per creare le condizioni ideali per lo sviluppo futuro del Paese.
Chi è contro la Brexit.
Si oppongono alla Brexit buona parte del governo britannico insieme ai manager di alcune grandi aziende. Per loro la permanenza nell’Unione si traduce in crescita, posti di lavoro non a rischio e maggiore prosperità.
Cosa comporterebbe l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione, gli scenari possibili.
Nel caso della realizzazione della Brexit, la Gran Bretagna dovrà rinegoziare gli accordi commerciali con gli attuali partner commerciali singolarmente, oltre che trasformarsi un avversario commerciale dell’Europa. Gli scenari possibili spaziano dal un – 0.8% a un +0.6% del PIL nel 2030, in base alla rapidità e alla natura degli accordi commerciali raggiunti. Un altro vantaggio immediato per la Gran Bretagna è l’interruzione del versamento annuale alla UE, per un totale di 8.6 miliardi di euro, pari allo 0.5% del PIL britannico.
Una più realistica previsione invece dipinge uno scenario completamente diverso, con una perdita almeno del 5% del PIL, che si riduce a -3% nel caso in cui nuovi accordi commerciali siano stipulati in tempo record, meno attrattiva per gli investimenti esteri, svalutazione della sterlina ed esportazioni meno performanti, se comparate con il mercato europeo che diventerebbe subito un concorrente diretto della Gran Bretagna. L’uscita della Gran Bretagna porterebbe ad un aumento dei costi commerciali e una diminuzione degli scambi da e verso l’Europa.
Per quanto riguarda la questione dei migranti, la Brexit introdurrebbe la necessità di visto e di permesso di lavoro per chi vuole vivere e lavorare in Gran Bretagna; questo andrebbe a influenzare anche i 2.2 milioni di inglesi attualmente residenti in Paesi dell’Unione, su cui si potrebbero applicare norme analoghe, rendendo difficile la loro permanenza all’estero. Inoltre le previsioni di crescita economica del Regno Unito sono sempre state fatte tenendo presente un alto e continuo flusso di migranti, che finanziano ampiamente il settore pubblico con le tasse che pagano e costituiscono la più ampia fetta di spese al consumo.
Le ripercussioni sull’Unione Europea.
Un’eventuale uscita della Gran Bretagna si ripercuoterebbe anche sull’Europa: i Paesi comunitari si troverebbero a dover colmare il vuoto delle aliquote versate dall’Inghilterra (gli 8.6 miliardi di cui sopra), le esportazioni da e verso la Gran Bretagna risulteranno più difficili, la svalutazione della sterlina renderebbe i prodotti inglesi più competitivi di quelli europei, si verificherebbe un calo complessivo del PIL di un valore compreso tra lo 0.1% e lo 0.4%.
Ma non è tutto: la Gran Bretagna usa lo spettro della Brexit per poter negoziare le migliori condizioni per la sua permanenza nell’Unione. Londra ha finora ottenuto di continuare a usare la sterlina come valuta nazionale, non partecipare a future azioni di salvataggio finanziario, poter porre un veto alle leggi che contrastano con la propria volontà e poter controllare l’immigrazione, in contrasto con la libera circolazione dei cittadini europei all’interno dell’Unione. Bruxelles, intenzionata a tenersi stretta l’Inghilterra, teme che questo favoritismo possa spingere altri Paesi ad avanzare richieste “personalizzate”, oppure che l’eventuale avverarsi della Brexit, faccia considerare l’uscita dall’Europa di altri Paesi, minando così la stabilità e la credibilità dell’istituzione europea.
Un’ultima scuola di pensiero pensa al contrario che l’Unione Europea trarrebbe beneficio dell’uscita di Londra. La possibile vincita del no al referendum sulla Brexit non significa che il fronte a favore verrà messo a tacere, ma anzi, avrà la possibilità di lavorare dall’interno per ritagliare fette d’autonomia inglese sempre più grandi.
A.T. per Kreos Srl