Le bad bank sono istituti creati ad hoc per alleggerire le banche dalle perdite dovute agli asset tossici presenti al loro interno, ovvero crediti che non sono stati restituiti e il cui ritorno è incerto. Le bad bank rispondono a una situazione di crisi economica che obbliga imprese e famiglie a non poter ripagare le rate dei debiti che avevano contratto. In questo modo le banche vedono ingrandirsi al loro interno i crediti deteriorati e inesigibili e soffrono anch’esse di ridotta liquidità. Una ridotta liquidità ha ovviamente ricadute sull’economia reale, con le banche sempre più riluttanti a concedere nuovi prestiti, con conseguente stagnazione e l’acuirsi della crisi economica: insomma, un cane che si morde la coda.
Così nasce la bad bank.
Questo sistema pensato per tappezzare almeno in parte le perdite non è nuovo, il primo esperimento di questo tipo di salvataggio risale infatti al 1988 negli Stati Uniti, quando la Mellon Bank crea la Grant Street National Bank per salvare i crediti in sofferenza al suo interno. Questa soluzione per alleggerire le banche è poi tornata in auge con la crisi finanziaria del 2008.
Fin qui tutto bene:
le bad bank aiutano le banche normali a superare situazioni gravi di insolvenza da parte dei debitori, ma in tutto questo, qual è il loro tornaconto? Da dove proviene il loro guadagno?
Iniziamo facendo notare che gli asset che la bad bank acquisisce hanno un alto valore nominale ma un valore di mercato vicino allo zero, la loro valutazione dunque non potrà essere fatta in base al valore nominale, ma nemmeno in base al valore di mercato per non penalizzare troppo le banche. Attualmente il valore di mercato di queste sofferenze si attesta attorno al 20% del valore iniziale del prestito. In questo modo la banca non registra una perdita consistente, ma ha comunque modo di recuperare della liquidità, e allo stesso tempo la bad bank ha un 80% di margine d’azione per far fruttare il proprio investimento.
Va anche fatto notare che non tutti i crediti che la bad bank acquista sono inesigibili, alcuni sono solo il frutto di una momentanea difficoltà da parte del debitore e alcuni possono anche essere rinegoziati in tempi brevi con il cliente, trasformandosi così in un’opportunità di rientro dell’investimento quasi immediata.
D’accordo,
ora la bad bank ha acquisito dei crediti che solo in parte potrebbero essere recuperabili, ha anche un altro tipo di entrata? Certo, l’obiettivo di una bad bank è comunque quello di far fruttare il proprio investimento, dunque emette delle obbligazioni che siano vendibili al pubblico e a intermediari professionali. Le obbligazioni che emette sono di tre tipi: “senior”, “junior” e “mezzanine”. Tra questi tre tipi di obbligazioni le “senior” sono quelle più sicure, dato che prevedono priorità nei rimborsi, le “junior” sono le meno sicure, e le “mezzanine” sono rimborsate mano a mano che si recuperano i crediti. Ma non è tutto: si tratta comunque di obbligazioni che si appoggiano su crediti in sofferenza, senza nessun tipo di garanzia e che quindi possono risultare poco appetibili per un investitore. Per facilitarne il collocamento sul mercato, le obbligazioni “senior” possono essere assortite da una garanzia concessa dallo Stato, che ne certifica in un certo senso l’affidabilità.
I debiti in pancia alle banche attualmente ammontano a 201 miliardi di euro, e il governo sta decidendo in questi giorni le misure da adottare: l’Unione Europea da una parte teme che l’intervento mascheri un aiuto statale alle banche, dall’altra per rendere più appetibili le obbligazioni emesse dalle bad bank, almeno per quelle “senior”, servirebbe che fossero assistite dalla garanzia dello Stato italiano.
A.T. per Kreos Srl