Negli ultimi due anni il mercato delle PMI nel nostro Paese è cambiato ed insieme ad esso si è modificata anche la percezione del rischio nei manager che guidano le aziende.
Ma sul Risk Management i numeri sono ancora a sfavore di una cultura diffusa del rischio. Il 90% delle Piccole Imprese e l’82% delle Medie Imprese non ha al suo interno un Risk Manager. Inoltre, il 47% delle aziende percepisce oggi il rischio esclusivamente come un fattore negativo da evitare, percentuale che sale al 68% nelle piccole imprese.
Questo è il quadro che emerge dall’ultimo Osservatorio Cineas commissionato al Politecnico di Milano sul Risk Management nelle Piccole e Medie Imprese italiane. Alcuni di questi risultati sono stati discussi nel corso del Convegno “Le aziende e il rischio: minacce emergenti e soluzioni possibili” promosso da Insurance Connect e patrocinato tra gli altri da ANRA, l’associazione che dal 1972 raggruppa i risk manager e i responsabili delle assicurazioni aziendali, e CINEAS, Consorzio universitario non profit che ha l’obiettivo di diffondere cultura e formazione manageriale nella gestione globale dei rischi e dei sinistri.
L’Osservatorio ha intervistato un campione di 701 aziende italiane rappresentanti di tutti i settori economici, ma in modo particolare appartenenti ai macro settori dei Servizi (36% del campione) e della Manifattura (41%).
Secondo l’indagine di fronte alla necessità di adattarsi a nuove forme di approccio al mercato, le imprese hanno avviato percorsi di rinnovamento, spesso trascurando gli aspetti legati al rischio. Per le PMI italiane l’uscita dalla recessione sembra ancora lontana e nei due anni trascorsi dalla precedente indagine le imprese che percepiscono il mercato in contrazione sono aumentate del 20%, raggiungendo il 46% del totale intervistato; rimane almeno l‘ottimismo per il 54% degli intervistati, che vede il proprio futuro più positivo rispetto a due anni fa.
La situazione rimane ambigua: da una parte si riscontra un certo aumento dell’interesse e della conoscenza verso i temi del Risk Management, ma, dall’altra, un livello di applicazione ancora bloccato da vincoli strutturali e di costi e, quindi, limitato agli aspetti finanziari. Un atteggiamento in parte motivato dalla crisi economica, che si rivela controproducente per la ripresa e per la stessa sopravvivenza delle aziende.
“L’indagine ha evidenziato tre aspetti su cui riflettere” afferma Adolfo Bertani Presidente di Cineas, Consorzio universitario attivo nella diffusione della cultura del rischio.“Prima di tutto il rischio, in mancanza di un’adeguata cultura, è percepito dalle pmi solo come un fattore di negatività o non come opportunità di crescita. In seconda battuta, le imprese riconoscono come rischio solo quello finanziario, che peraltro spesso è conseguenza di una mancata attenzione ai rischi gestionali, trascinando per l’appunto l’analisi e la gestione dei rischi d’impresa. Ed è una chiara dimostrazione di questo pericoloso atteggiamento l’ignoranza diffusa, evidenziata dall’Osservatorio Cineas, sui termini della legge 231 del 1998, ovvero di quella normativa che estende la responsabilità penale alle imprese. Solo il 16,8% delle PMI coinvolte dall’indagine è a conoscenza della normativa che pure potrebbe mettere a rischio la sopravvivenza delle aziende ben più di una temporanea stretta sul credito bancario”. La soluzione può arrivare quindi, secondo Bertani, dalla prevenzione e da percorsi formativi ad hoc nelle aziende.
“Pare proprio che l’aggravarsi del rischio imprenditoriale dovuto alla perdurante debolezza del ciclo economico abbia ulteriormente indebolito le buone pratiche di Risk Management”, commenta invece Paolo Rubini, Presidente di ANRA. “I cosiddetti Animal Spirits dell’imprenditore si sono via via concentrati, in modo quasi naturale, sui rischi da cui possono derivare opportunità, a scapito della gestione dei rischi che sono forieri solo di perdite. I rischi finanziari (citati dal 58%) hanno prevalso sui rischi operativi, tanto che le polizze più “gettonate” sono state quelle di assicurazione del credito commerciale”.
A fronte di questa percezione la strategia di contrapposizione alla crisi attuata dalle aziende italiane è leggermente cambiata negli ultimi due anni, con un numero inferiore di imprese che guarda all’estero in cerca di mercati in crescita o di disponibilità di materie prime a costi più bassi (il 45% degli intervistati contro il 59% di due anni fa, ma resta l’operazione prioritaria per chi percepisce il mercato in crescita), e con una minore fiducia nella possibilità di effettuare investimenti proficui nel nostro Paese.
Al contrario, le imprese che percepiscono il mercato in contrazione puntano all’interno, modificando nel 90% dei casi le proprie strutture di vertice. Subito dietro alla ricerca di nuovi mercati, le soluzioni più ricercate sono l’ampliamento del portafoglio prodotti (33.6%) e l’apertura di nuovi canali di vendita (24.3%). In pratica le imprese che affrontano nuovi mercati hanno spesso una minore percezione del rischio, un aspetto che denota una non adeguata preparazione nell’affrontare situazioni nuove e sconosciute, di cui non si è in grado di valutare con completezza le criticità.
In generale, però, sembra esserci una crescita dell’attenzione, certamente da monitorare in futuro, verso la necessità di una corretta gestione del rischio. La ricerca dell’Osservatorio denota, infatti, un aumento della spesa in tale ambito nelle PMI che dallo 0.3% del fatturato calcolato nel 2012 è passata oggi al 3.8% nelle aziende con oltre 10 milioni di fatturato.
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